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Faust, frammenti parte prima - 1988-89

autore: Johann Wolfgang Goethe
traduzione: Giorgio Strehler, Gilberto Tofano
regia: Giorgio Strehler
scene: Josef Svoboda
costumi: Luisa Spinatelli
musiche: Fiorenzo Carpi
    


Appunti di regia di Faust parte prima

Appunti sulla prima parte del progetto Faust iniziato nella stagione 1988-1989 e terminato con Faust parte seconda nella stagione 1990-1991

Faust/Frammenti parte prima

Dal Programma di sala 1988/89    

Difficile parlare di questo spettacolo. Perché, certamente, di uno spettacolo si tratta, completo e definito, che rappresenta e dice certe cose col "teatro" ma, nello stesso tempo, è anche un primo risultato non del tutto concluso, pieno di proposte e di interrogativi, di una ricerca compiuta su più di duemila versi della Prima Parte del Faust di Goethe che ne conta 4614 e che, insieme alla Seconda Parte della tragedia, arriva a 12.111 versi. E' nostro fermo intendimento portarli al pubblico nella loro interezza se mezzi, forza, volontà pubbliche e destino ce ne daranno nel domani la possibilità.    

Dunque il nostro lavoro che pure ha presentato per noi uno sforzo, una fatica d'amore e di comprensione quale mai abbiamo incontrato nella nostra storia, è solo una parte, appena iniziale, di un tutto grandissimo che ci impegnerà per anni. La densità dell'opera goethiana, la sua complessità, il suo permanente mistero nella chiarezza, le sue contraddizioni, le sue continue accensioni liriche e soprattutto la sua tensione interiore quasi insostenibile per gli interpreti, ci sono apparsi talvolta insormontabili. Abbiamo disperato. Abbiamo lottato duramente con l'Angelo e con il Demone.    

Da tutto questo è nato un "evento teatrale" composito, in cui stili e metodi si intersecano e si susseguono secondo logiche intuitive e creative in cui parti di "spettacolo completo" passano a momenti di riflessione, di lettura drammatica del testo, che subito si trasforma in recita, ma non del tutto "recitata" secondo gli schemi del teatro dell'immedesimazione, piuttosto teso verso quelli del teatro di origine epica, in cui persino l'aspetto formale della rappresentazione si rompe spesso in un anticlima, in una antiatmosfera per poi, nonostante tutto, ritrovarla con variazioni emozionali che creano una particolare unità nell'esteriore antiunità.    

La vera unità dello spettacolo sta nel fondo. Nella sua idea critica o meglio nella sua posizione critica e dialettica. Mi domando come e se tutto questo travaglio composito riuscirà ad ordinarsi in chiarezza a contatto con il pubblico, come tutto si farà "semplicemente" teatro e se tutto apparirà limpido, sostanzialmente logico, coerente nella sua libertà.    

Qualora il nostro lavoro non venga colto dal pubblico con immediatezza, come un coraggioso esperimento che non può fare a meno di una compiutezza rappresentativa, ma che non vuole però essere uno spettacolo completo, finito in ogni sua parte per sempre (come se poi, mai una rappresentazione potesse per sempre essere finita!) esso non avrà raggiunto il suo primo scopo.    

Certo, nello smarrimento del teatro contemporaneo, nell'incertezza sempre più evidente dei suoi interpreti, proporre cose di questo genere, proporre testi di questo livello intellettuale e poetico, in questa forma così aperta ed inconsueta, perché si conosca meglio e si parli meglio di una delle più grandi opere teatrali prodotte dal genio umano, perché magari attraverso questo fatto specifico si arrivi anche a fare delle considerazioni sul teatro, sul modo di viverlo, sulla posizione morale degli interpreti verso quello che pur essendo un "mestiere" è soprattutto una vocazione d'arte, perché si tocchi il problema di cosa è o deve essere un teatro d'arte oggi, insomma proporre domande come queste può davvero essere segno di ingenuità e di utopia.    

Non nego che queste due componenti esistano alla base della nostra storia di ieri e di oggi. Ma esse sono - per me - il segno di uno slancio morale, di uno sforzo che tende al più in là, al meglio, alla ricerca delle ragioni grandi dell'umano e non di un peccato di cui vergognarsi, nella deriva dei valori in atto nella nostra contemporaneità.    

L'incontro con Faust mi attendeva ad un limite della mia vita di interprete, dopo avere accompagnato, silenziosamente, a lato, il mio cammino per decenni. Così come mi hanno atteso La Tempesta ed il Re Lear di Shakespeare e tanti altri momenti spirituali altissimi del teatro e dei suoi poeti che ho cercato di interpretare come meglio sapevo, nel tempo. Non potevo sottrarmi, anche se l'impegno, il rischio erano estremi.    

Ma io credo che, almeno come disperato momento di amore e conoscenza, certe parole debbano essere affermate, certe avventure rischiate e certe dichiarazioni di fiducia gettate in faccia al cinismo, al vuoto, alla rassegnazione di tanta parte del teatro e della cultura contemporanea e che certe battaglie debbano essere combattute anche se, forse, perdute in partenza.    

La nostra ricerca sul Faust è incominciata, l'abbiamo pagata e costruita con molto di noi stessi. Oggi la offriamo al pubblico. Adempiamo, un'altra volta, al nostro compito di interpreti, alla nostra responsabilità di uomini del teatro che nel teatro credono ancora come nella vita.    

Giorgio Strehler    

     

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